il grande conflitto che ci vede spettatori più o meno partecipi si può ridurre a due polarità ben distinte e abbastanza descrivibili, da un lato sussistendo l'orso italico per niente disposto a capire e a confrontarsi, e dall'altro lato una specie umana che cammina pericolosamente, acrobaticamente, fra il rischio perenne di estinzione e l'ostinata passione di dare peso alle parole, ai gesti, alle scelte. C'è uno spartiacque che personaggi eccelsi hanno riconosciuto e che ci ammonisce a restare, o tornare, sulla retta via. O a intraprenderla. La retta via peraltro si presta a innumerevoli distorsioni, ipocrisie, e la sua corretta acquisizione di fatto dipende dal livello di attenzione e di rilassamento necessario a una visuale non di comodo, non impigrita, non aleatoria. Cultura è una parola scomoda e facilmente fraintendibile, Nous un po' meno. Che abbiamo avuto esempi straordinari: uno fra tutti si chiama Pasolini. Il fatto che sia stato fatto fuori con le cattive è metafora concreta del conflitto di cui sopra, per mano di sciacalli e disumani esseri che magari vengono percepiti come modelli di funzionamento economico e sociale. Scriveva ed era seguito, i lettori leggevano, cercavano di capire, lui come un faro illuminante, al seguito lui stesso di una cultura altra traboccante di cruciali suggerimenti, e ammonimenti. Ma la metafora ci dimostra che prevale il peggio sul meglio, il troppo sul giusto, e come un morso di cane feroce alle costole, il disumano è sempre pronto ad inveire, aggredire, spargere sangue, o quanto meno a umiliare ogni tentativo di svolta e di acquisizione individuale e collettiva. Credo che sia ancora molto importante imparare, secondo i propri percorsi e le proprie inclinazioni. Una battaglia persa è qui davanti a noi: e in questi anni tremendi, violenti, non sappiamo ancora realizzare che una via di salvezza c'è, ed è già stata tracciata. Basta non tornare a odiare l'altro con lo scopo miserabile e inconscio di giustificare il proprio fallimento umanistico.